Un vitigno autoctono dalle origini antiche di cui si hanno testimonianze già nel XIV secolo, nel Trattato di agronomia di Pietro de’ Crescenzi, e nel Bollettino Ampelografico del Di Rovasenda, del 1885, ma che solo dalla fine degli anni 80 è tornato ad essere coltivato nelle zone d’origine come le Valli Curone, Grue, Ossona e in Val Borbera, in un ‘area dove la vite trova un valido “habitat” grazie al terreno, al lungo soleggiamento e alla posizione al riparo dei venti. La sua produzione è piuttosto ridotta, ma di qualità. Il vino che se ne ricava, di buona struttura, è assai rinomato tra i buongustai; appartiene all’ultima generazione dei “bianchi” della provincia di Alessandria, nonostante le sue origini antiche.
Il timorasso ha sempre dimostrato una scarsa adattabilità a condizioni climatiche diverse da quelle della regione di origine, a conferma della sua forte territorialità. Proprio per queste caratteristiche, nel corso dei secoli, è stato lentamente abbandonato a favore delle uve a bacca rossa più produttive e meno delicate come barbera e croatina. Dopo la devastazione delle viti europee causata dalla fillossera, le vigne di timorasso sono state quasi completamente sostituite con il cortese, più facile da coltivare e dalle rese maggiori. Probabilmente il timorasso sarebbe scomparso dalla mappa ampelografica italiana se negli anni ’80 Walter Massa e altri coraggiosi e tenaci vignaioli di Tortona, non avessero deciso di riportarlo in vita, scommettendo sulle sue grandi potenzialità.
Per quanto riguarda le sue uve sono piuttosto neutre, ma danno origine a un vino di grande struttura, capace di sviluppare aromi inimitabili. Di colore giallo paglierino, esprime eleganti toni floreali, mandorlati e una piacevole sapidità. Caratteristiche del vitigno sono le profonde note minerali e di pietra focaia, spesso accompagnate da sentori resinosi e di idrocarburi. La spiccata acidità conferisce al vino freschezza e grande longevità.
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